Oncologia
Eccezionale scoperta: ecco come nasce, cresce e si diffonde il cancro dell’ovaio
Scoperto allo IEO come nasce, cresce e si diffonde il cancro dell’ovaio, o tumore ovarico più aggressivo
Eccezionale scoperta fatta da un gruppo di ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO), in collaborazione con ricercatori della Fondazione IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, ha identificato una successione di mutazioni molecolari che sembrano causare la progressione del carcinoma ovarico più diffuso e più aggressivo. I dati biologici ottenuti, dal forte potenziale terapeutico, sono stati di recente pubblicati sul International Journal of Cancer. Lo studio sostenuto da Fondazione AIRC è stato coordinato da Ugo Cavallaro, Direttore dell’Unità di Ricerca in Ginecologia Oncologica dello IEO.
Un tumore difficile da curare
Quello dell’ovaio è un tumore ancora difficile da curare e il carcinoma ovarico sieroso di alto grado è la forma più diffusa (70% di casi) e più aggressiva. Le terapie attualmente disponibili hanno efficacia purtroppo limitata per un motivo clinico e uno biologico: nell’80% circa dei casi il tumore è diagnosticato in fase avanzata, essendo all’esordio del tutto asintomatico, e l’alto livello di eterogeneità cellulare ha finora reso difficile caratterizzare i cambiamenti molecolari che ne promuovono la progressione. Gli sforzi della ricerca internazionale si sono finora concentrati sul sequenziamento del genoma sia del tumore primario che delle metastasi, per metterli a confronto e individuare le alterazioni molecolari che determinano la diffusione della malattia, causa della sua letalità. I risultati sono stati solo parziali.
Un approccio innovativo
«Per individuare la “traiettoria” del cancro ovarico noi abbiamo pensato a un approccio innovativo – spiega Cavallaro – Dal tumore ovarico di una singola paziente abbiamo generato una serie di modelli sperimentali di tumore che ricapitolano ognuno un passaggio diverso della progressione della malattia. Abbiamo così ottenuto il profilo genomico (del DNA) e trascrittomico (del RNA) dei vari modelli, in modo da ricavarne delle “firme” molecolari, vale a dire degli insiemi di mutazioni o di geni specificamente associati ai diversi modelli. Utilizzando questa chiave abbiamo quindi interrogato i database mondiali che contengono i dati genetici di coorti numerose di pazienti con tumore ovarico. Confrontando i nostri modelli con i dati contenuti in tali database, abbiamo scoperto che le firme molecolari individuate hanno potere prognostico, ovvero danno indicazioni sul processo biologico di evoluzione della malattia. Non solo, ma sembrano avere anche capacità predittiva, ossia possono dare indicazioni sull’efficacia dei trattamenti. In altre parole, le firme molecolari ottenute tramite modelli sperimentali diversi ma derivanti da un unico tumore (e quindi un’unica paziente) hanno fornito informazioni cliniche estendibili anche ad altre pazienti, che includono la prognosi e la predizione della risposta alla chemioterapia. Abbiamo inoltre ottenuto dati molto interessanti, almeno potenzialmente, dal punto di vista terapeutico, scoprendo un punto vulnerabile del carcinoma ovarico».
Il ruolo essenziale di una proteina
«Abbiamo dimostrato – continua Fabrizio Bianchi della Fondazione IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza – che la proteina PI3K ha un ruolo essenziale nel mantenere in vita le cellule staminali tumorali del carcinoma ovarico, le cellule da cui il tumore nasce e si rigenera. PI3K potrebbe dunque essere un nuovo possibile bersaglio terapeutico per l’eliminazione di questo sottogruppo di cellule così importante nella recidiva e nella chemioresistenza della malattia.
Il ruolo di PI3K come promotore del cancro ovarico è noto da tempo e la sua possibile inattivazione è stata ampiamente esplorata come strategia terapeutica. Il nostro studio ha esteso le precedenti osservazioni sul legame tra PI3K e neoplasia ovarica, svelando il ruolo di una mutazione recentemente scoperta nel gene PIK3R1, che sappiamo essere il regolatore di PI3K. La mutazione in questo gene provoca un’attivazione anomala di PI3K, che fa da scudo alle cellule staminali tumorali, rendendole immortali. Si può pertanto immaginare – sottolinea Bianchi – che l’inibizione di PI3K possa superare la chemioresistenza, un’ipotesi che merita ulteriori indagini per le sue potenziali implicazioni per la gestione clinica delle pazienti con carcinoma ovarico».
«In sintesi, abbiamo delineato un flusso di lavoro che, attraverso l’analisi del DNA e RNA, ha ottenuto modelli di alterazioni molecolari importanti per il trattamento del carcinoma ovarico, come esemplificato dalla mutazione PIK3R1 e dalla conseguente modificata regolazione di PI3K. Le alterazioni così identificate con il nostro approccio potrebbero diventare bersagli di farmaci mirati, per offrire nuove opzioni terapeutiche anche per questo tumore femminile così temibile e insidioso», conclude Cavallaro.
Lo studio, che ha visto la collaborazione di altri ricercatori dello IEO guidati da Giuseppe Testa e dell’Istituto Mario Negri guidati da Raffaella Giavazzi, è stato condotto con il sostegno, oltre che di Fondazione AIRC, del Ministero della Salute e della Fondazione IEO-Monzino.