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Ansia e paure: dalla scienza, un metodo per combatterle

Una ricerca condotta dagli scienziati del Mount Sinai ha evidenziato come la riprogrammazione mentale associata a un suono può dare i suoi (buoni) frutti

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Ansia e paure
Ansia e paure

Il Kybalion, un libro particolarmente enigmatico scritto da tre persone non ben identificate che si fanno chiamare «I 3 iniziati», riporta una frase che fa senz’altro riflettere: «tutto è mente; l’universo è mentale». E secondo alcuni esperti anche le nostre paure sarebbero solo il frutto della nostra mente e l’unico modo per eliminarle sarebbe proprio agire su questo aspetto. D’altro canto, sappiamo che molti psicologi cercano di far superare le proprie paure ai pazienti cercando di far rivivere i momenti più traumatici. Tuttavia, non sempre è facile riuscire a gestire i ricordi in questo modo. Ma alcuni scienziati sembrano aver trovato un metodo differente per poter superare ciò che più temiamo. Ecco di cosa si tratta.

Riprogrammazione mentale

Qual è lo strumento migliore che abbiamo a disposizione e che nessuno mai potrà toglierci? L’immaginazione. Ed è proprio su questo fronte che alcuni scienziati dal Mount Sinai hanno scelto di lavorare. Ritengono, infatti, che l’immaginazione sia uno strumento potente esattamente come lo sono i segnali realmente vissuti. E la dimostrazione di tutto ciò, sono riusciti a ottenerla registrando le attività cerebrali.

Fiducia

Secondo gli scienziati, questo genere di terapie potrebbe aiutare i pazienti a superare paure, ansia e traumi. Tuttavia, la parola chiave è la fiducia. Il terapeuta, infatti, può aiutare il paziente attraverso la terapia dell’esposizione creando un ambiente con stimoli che lo portino ad affrontare lentamente le proprie paure. Tutte le forme di terapia espositiva si sono dimostrate efficaci. Anche se è importante sottolineare che l’esposizione in vivo – ovvero attraverso un’interazione diretta con l’oggetto che ci provoca paura – può avere effetti più forti e duraturi.

L’estinzione della minaccia

La dottoressa Daniella Schiller, neuroscienziata e psichiatra presso il Mount Sinai Hospital, ha voluto testare il metodo dell’estinzione della minaccia. «Ci concentriamo molto sull’effetto degli stimoli esterni sul comportamento e su come il cervello reagisce, ma molti di questi processi si verificano nel cervello e non abbiamo accesso ad essi. Uno è l’immaginazione. Sappiamo che, in terapia, questi sono strumenti piuttosto potenti; quindi, stiamo cercando di dare una spinta a rivelare quei processi interni soggettivi», spiega Schiller.

Come funziona

In pratica, l’estinzione delle minacce è un processo che insegna alle persone a sperimentare un segnale associato a qualcosa di temibile ma che non preceda necessariamente un evento negativo. In fase di deprogrammazione alla paura, quindi, gli scienziati hanno dovuto crearne uno nuovo: hanno diffuso un suono da una particolare tonalità e poi hanno fornito un piccolissimo shock elettrico. In questo modo veniva condizionata – a livello cerebrale – una reazione di paura nella mente delle persone ogni volta che udivano quel determinato suono.

Il dolore è in arrivo

Grazie alla risonanza magnetica funzionale, il gruppo è riuscito a osservare l’attività cerebrale del momento che poteva essere tradotta come: «il dolore è in arrivo». Durante lo studio i partecipanti sono stati suddivisi in tre gruppi. Il primo, dopo aver ricevuto il segnale, ripercorreva gli stessi vecchi percorsi neurali che hanno messo in moto una risposta di paura, dicendo ai loro corpi di prepararsi per il dolore. Al secondo gruppo fu detto di usare la loro immaginazione per rielaborare il tono nelle loro menti. Infine, al terzo gruppo fu detto di immaginare un suono proveniente dalla natura, come il canto degli uccelli o il fluire dell’acqua, allo scopo di simulare l’immaginazione uditiva ma non riceva lo shock elettrico. Tutti i partecipanti, però, hanno avuto una serie di quattro shock senza alcun preavviso. Dopodiché il suono è stato prodotto di nuovo, senza shock.

Persone condizionate

Dai risultati è emerso che le persone che immaginavano qualcosa al posto del segnale di paura non sono state riprogrammate – perlomeno neurologicamente parlando. Ma nel cervello delle persone a cui era stata sottoposta la terapia di esposizione con il tono di avvertimento, il tono riusciva sì ad attivare la paura, ma essa subito dopo diminuiva. «In entrambi i casi, la centrale per la soppressione della paura era nella corteccia prefrontale ventromediale», spiega Schiller. «Sapevamo già che questa parte del cervello aveva un ruolo fondamentale in questo processo di apprendimento dell’estinzione e che per la terapia nei pazienti con ansia vediamo una ridotta funzione in quell’area.

E abbiamo visto che questo hub centrale nella rete era attivo anche nell’estinzione immaginata o nella terapia di esposizione immaginaria». Tuttavia, è importante sottolineare che in tutte e due le forme non si «cancella o elimina completamente l’associazione tra un innesco e l’esperienza della paura, ma è sotto un miglior controllo», conclude Shiller.

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