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Malattie infettive

Epatite A: cos’è, come si trasmette, sintomi, cure

Tutto quello che c’è da sapere sulla malattia virale che colpisce il fegato, e si trasmette in molti modi: l’epatite A. Bisogna fare attenzione agli alimenti, le bevande e le persone infette

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L’epatite A è una malattia virale. Colpisce il fegato e si trasmette attraverso alimenti e bevande contaminate, o anche per mezzo di un contatto diretto con persone infette. È una malattia infettiva acuta causata da un virus a RNA appartenente al genere Heparnavirus della famiglia dei Picornaviridae (HAV). Insieme ad altri virus come l’HBV che causa l’epatite B e l’HCV che causa l’epatite C, attacca le cellule del fegato.
Le autorità sanitarie ritengono che l’epatite A sia diffusa in tutto il mondo, e che si manifesti di tanto in tanto anche in forma epidemica, e non soltanto sporadica. Si trasmette con più facilità laddove vi siano scarse condizioni igienico-sanitarie, come per esempio nei Paesi in via di sviluppo. Ma anche nel Sud Italia, dove è endemica. In genere si diffonde con maggiore rapidità tra i bambini, e spesso asintomatica. Molti adulti, oggi, non sanno di esserne stati infettati. Si ritiene sia una malattia che non cronicizza, a differenza dalle epatiti B e C.

Epatite A: tutto quello che c’è da sapere

Per conoscere in breve tutto quello che c’è da sapere, il Ministero della Salute ha realizzato una serie di Faq, in cui offre tutte le risposte che si vorrebbero avere quando non si conosce con cosa si ha o si potrebbe avere a che fare.

Che cos’è l’epatite A?

L’epatite A è una malattia infettiva acuta che colpisce il fegato. E’ causata da un virus a RNA.

Come si trasmette l’epatite A?

L’infezione generalmente si trasmette per via oro-fecale, attraverso l’ingestione di cibi o acqua contaminati. Ma anche tramite il contatto con persone infette. Frequente è infatti la trasmissione interumana attraverso il contatto diretto. Un soggetto infetto elimina il virus, e di conseguenza è contagioso, dai 7-10 giorni prima della comparsa della sintomatologia a una settimana dopo.

I sintomi dell’epatite A

La malattia spesso decorre in maniera asintomatica, soprattutto quando l’infezione viene contratta in età infantile. La sintomatologia, quando presente, compare dopo un periodo di incubazione di 15-50 giorni: si possono avere inappetenza, malessere generale, febbre, nausea e vomito. Dopo qualche giorno compare l’ittero, quando la pelle diviene di un colorito giallognolo, così come le sclere (la parte bianca dell’occhio) e le mucose. Questo è dovuto alla aumentata concentrazione di bilirubina nel sangue in seguito a una diminuita funzionalità del fegato.
La malattia ha generalmente un’evoluzione benigna, anche se con decorso prolungato (dura dalle 2 alle 10 settimane). Talvolta, soprattutto nei soggetti adulti affetti da patologie concomitanti, sono state osservate forme con andamento grave e forme fulminanti per insufficienza epatica.

Quanto è diffusa l’epatite A?

L’epatite A è presente in tutto il mondo sia in forma sporadica che epidemica. Ogni anno si stimano circa 1,4 milioni di casi di epatite A (HAV), con una frequenza maggiore nei Paesi del sud del mondo. Ma è molto diffusa anche nel Sud Italia, spesso provocata dall’assunzione di frutti di mare (crudi) o altri alimenti contaminati.
Tradizionalmente vengono descritte 3 categorie geografiche di endemicità correlate alla prevalenza di HAV:
– Le aree ad alta endemicità, che presentano scarse condizioni igienico-sanitarie;
– Le aree ad endemicità intermedia, che includono i Paesi in via di sviluppo con condizioni igienico-sanitarie variabili;
– Le aree a bassa endemicità, che comprendono i Paesi industrializzati con buone condizioni igienico-sanitarie.

Nei Paesi in cui l’infezione è endemica sono colpiti prevalentemente i bambini. Generalmente, pur contraendo l’infezione, i più piccoli non manifestano una sintomatologia evidente. Poiché la malattia induce un’immunità permanente, in queste aree, gli adolescenti e gli adulti risultano immuni e costituiscono una barriera alla diffusione del contagio ostacolando così il verificarsi di epidemie.
Nei Paesi a endemicità intermedia e bassa l’infezione colpisce prevalentemente gli adolescenti e gli adulti, che non avendo contratto la malattia in età infantile non risultano immuni; la popolazione risulta pertanto suscettibile e si possono verificare dei focolai epidemici.
L’Italia, grazie ai miglioramenti delle condizioni igieniche e socio-economiche, è un Paese a endemicità medio-bassa. L’incidenza della patologia mostra un andamento in diminuzione, scendendo sotto la soglia di 1 caso per 100.000 abitanti.
Si sono tuttavia, nel corso degli anni, manifestati focolai epidemici legati al consumo di alimenti inquinati (nel 1992, 1994, 1997, 2013) e/o a comportamenti a rischio (2016).

Quali sono i fattori di rischio dell’epatite A?

Diversi fattori possono intervenire nella trasmissione dell’infezione. I fattori di rischio più comuni sono:
– Consumo di alimenti inquinati, quali frutti di mare crudi o non sufficientemente cotti, frutti di bosco, verdure.
– Uso di acqua contaminata.
– Scarsa igiene, in particolar modo durante la preparazione dei cibi.
– Viaggi in zone endemiche.
– Stretto contatto con persona con infezione.
– Trasmissione per via sessuale (soprattutto con pratiche oro-genitali).

Come si può evitare il contagio?

Il contagio può essere evitato rispettando le norme igieniche generalmente in uso per la prevenzione delle malattie a trasmissione oro-fecale:
– Non consumare frutti di mare crudi. La cottura è l’unica misura efficace per eliminare o inattivare il virus dell’epatite A dai molluschi bivalvi o da altri prodotti freschi contaminati come frutta e verdura.
– Lavare accuratamente le verdure prima di consumarle.
– Lavare e sbucciare la frutta.
– Non bere acqua di pozzo.
– Curare scrupolosamente l’igiene personale, specie delle mani: lavarsi le mani dopo aver usato il bagno, dopo aver cambiato un pannolino, prima di preparare il cibo, prima di mangiare ecc.
– Essere scrupolosamente puliti nella manipolazione di cibi e bevande.
– Consultare i centri vaccinali presenti sul territorio regionale, autorizzati per la profilassi internazionale, per avere consigli sulle vaccinazioni prima di partire verso aree con scarse condizioni igienico-sanitarie o endemiche.
– In caso di soggiorno in Paesi con scarse condizioni igieniche sanitarie mangiare solo cibi cotti, in particolare verdure e frutti di mare, bere esclusivamente acqua in bottiglia e non consumare ghiaccio (se non si conosce l’esatta provenienza dell’acqua con cui è stato preparato).
– Praticare rapporti sessuali protetti.

Quali sono gli alimenti più a rischio di trasmissione di epatite A?

Studiando l’origine dei focolai epidemici, l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e il Centro europeo per la lotta alle malattie (ECDC), hanno individuato molteplici tipologie di alimenti che possono essere veicolo per l’infezione. Tra questi, quelli più frequentemente coinvolti, sono: pesce e prodotti a base di pesce, crostacei, molluschi e prodotti contenenti molluschi, vegetali, succhi, pomodori secchi, frutti di bosco, fragole, frutti di bosco misti congelati.

Come si contaminano gli alimenti vegetali con il virus dell’epatite A?

La fonte di contaminazione più frequente dei vegetali è costituita dall’acqua contaminata utilizzata per l’irrigazione e/o la fertirrigazione. Attraverso l’acqua i virus si depositano preferibilmente sulla superficie esterna dei vegetali e non è ancora ben chiaro se esista un meccanismo di internalizzazione. Al momento solo per le cipolle sono disponibili dati scientifici che dimostrano, mediante prove sperimentali, il trasporto dei virus attraverso le radici.

Il lavaggio con acqua potabile è efficace per ridurre la concentrazione virale?

Attraverso il lavaggio si può ridurre la concentrazione virale ma non eliminarla. Il lavaggio non è, quindi, sufficiente a proteggere dal contagio del virus.

Quali trattamenti garantiscono l’eliminazione del virus?

Il virus dell’epatite A sopravvive a basse temperature e resiste al congelamento. E’ invece sensibile al calore. Il virus viene inattivato con trattamento a 60 °C per 1 ora circa, bollitura per 5 minuti, con il calore secco (180 °C per 1 ora), con trattamento in autoclave, radiazioni ultraviolette, formalina e cloro.

Esiste un vaccino contro l’epatite A?

Sì, esiste un vaccino efficace e ben tollerato. Il vaccino viene preparato utilizzando ceppi di virus coltivati su cellule diploidi (appartenenti alla linea dei fibroblasti) e inattivati con formaldeide. Il vaccino deve essere conservato in frigorifero e viene somministrato per via intramuscolare.
La protezione si raggiunge dopo 14-21 giorni dalla prima dose; una seconda dose a distanza di 6/12 mesi dalla prima ne prolunga l’efficacia protettiva, fornendo una protezione per un periodo di 10-20 anni. In Italia si può trovare sia il vaccino monovalente, in formulazione pediatrica e per adulti, sia il vaccino combinato (associato con vaccino antiepatite B).

La vaccinazione è raccomandata nei soggetti a rischio:
– soggetti che vivono in luoghi in cui vi sono focolai epidemici;
– soggetti che devono recarsi per vacanza o lavoro in paesi dove la malattia è endemica (Centro o Sud America, Messico, Asia -Giappone escluso, Africa ed Europa orientale);
– familiari, o coloro che hanno contatti stretti con persone affette da malattia;
– soggetti affetti da malattie epatiche croniche;
– consumatori di sostanze;
– soggetti che lavorano in laboratori di ricerca in cui è possibile il contagio;
– maschi che fanno sesso con maschi (MSM)

Cosa si deve fare se si è stati esposti a rischio di epatite A?

Se si è stati esposti al rischio di infezione con virus dell’epatite A si può attuare sia la profilassi attiva (con vaccinazione) che passiva (attraverso la somministrazione di gammaglobuline -Ig).
Il vaccino antiepatite A è efficace nel prevenire la malattia anche dopo il contatto con il virus, purché sia somministrato entro 14 giorni dopo l’esposizione.
La protezione passiva si può ottenere con l’uso di Ig, preparate da pool di plasma di soggetti adulti.
L’efficacia dell’Ig, soprattutto se somministrate a più di 14 giorni dopo l’esposizione al rischio, è controversa; spesso la loro azione si manifesta, non impedendo il verificarsi dell’infezione, ma rendendo la stessa più lieve e sub-clinica.

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