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Salute

Un italiano su due dorme male. E spesso non se ne accorge. Ecco perché

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Se pensate di essere in pochi, sappiate che non siete affatto soli: in Italia ben 12 milioni di persone soffrono di disturbi del sonno: hanno difficoltà ad addormentarsi, si risvegliano frequentemente durante la notte o precocemente la mattina. Secondo i recenti dati dell’Associazione Italiana per la Medicina del Sonno (AIMS), nel nostro Paese circa 1 adulto su 4 soffre di insonnia cronica o transitoria. Sono soprattutto le donne ad essere maggiormente interessate, circa il 60% rispetto al totale. Il 20% dei casi riguarda invece bambini e minori. Cifre che, secondo gli esperti, sarebbero addirittura raddoppiate nell’anno della pandemia da COVID.

Le conseguenze del sonno disturbato

Nella maggioranza dei casi le alterazioni del sonno si traducono nella perdita del riposo notturno, con conseguente senso di malessere psico-fisico al risveglio e anche comparsa dell’eccessiva sonnolenza diurna (ESD), cioè l’incapacità di rimanere svegli in maniera appropriata durante il giorno. L’ESD peggiora la qualità della vita e la produttività dei pazienti che ne sono affetti: negli adulti l’eccessiva sonnolenza diurna aumenta il rischio di incidenti stradali, domestici o lavorativi, mentre nei bambini ostacola l’apprendimento e la socializzazione.  L’eccessiva sonnolenza diurna è spesso associata a due patologie fortemente sottostimate e spesso non diagnosticate correttamente: la narcolessia e le apnee ostruttive del sonno (OSA). I numeri parlano chiaro, basti pensare che le apnee ostruttive del sonno colpiscono circa 1 miliardo di persone nel mondo. In Italia circa 7 milioni di soggetti soffrono di almeno 5 apnee per ora di sonno, mentre nella popolazione di età compresa tra 30 e 69 anni, sono 4 milioni quelli con più di 15 apnee per ora di sonno. In età pediatrica l’incidenza è del 5%. La narcolessia invece, una malattia rara di difficile diagnosi, colpisce 4-5 persone ogni 10.000 abitanti, per un totale di circa 27.000 pazienti stimati in Italia. Tuttavia sono appena 2.500 quelli attualmente in cura per una diagnosi corretta di narcolessia.

Le patologie causate dai disturbi del sonno

«I disturbi del sonno – afferma il prof. Gioacchino Tedeschi, presidente della SIN – Società Italiana di Neurologia – impattano sull’esistenza degli individui, peggiorandone la qualità di vita. Tali disturbi possono essere derivati da vere e proprie patologie, alcune delle quali non adeguatamente riconosciute e diagnosticate come le apnee ostruttive del sonno (OSA) e la narcolessia. Al di là delle conseguenze sul piano fisico, con mal di testa, senso di spossatezza, occhi gonfi e sul piano psichico, tra cui ansia notturna, irritabilità e nervosismo diurni, stress e tensione – continua Tedeschi – questi disturbi risultano interferire pesantemente con la sfera socio-relazionale delle persone, sia in ambito lavorativo, con calo delle performance e scarso rendimento, sia in ambito familiare e affettivo, con conseguente senso di insoddisfazione, frustrazione, insicurezza, isolamento e senso di colpa».

Cos’è la narcolessia?

Tra le patologie più significative legate ai disturbi del sonno c’è senz’altro la narcolessia, una malattia neurologica cronica rara caratterizzata da un ciclo sonno-veglia non regolare e dalla comparsa, durante la veglia, di periodi di sonno improvvisi e non controllabili dal soggetto, associati o meno a cataplessia. I sintomi più importanti sono un’eccessiva sonnolenza diurna, sonno notturno disturbato, allucinazioni al momento dell’addormentamento o al risveglio e paralisi del sonno, che consistono nella sensazione di non riuscire a muoversi per alcuni secondi, a volte anche minuti, sempre nel momento dell’addormentamento o del risveglio. Secondo gli esperti la narcolessia è una patologia fortemente sotto diagnosticata. In Italia, paese all’avanguardia in questo campo, il tempo medio per una diagnosi dalla comparsa dei primi sintomi è di 5 anni, mentre in Europa e negli Stati Uniti è addirittura di 15 anni. «Riuscire a raggiungere una diagnosi precoce di narcolessia – spiega il prof. Giuseppe Plazzi, presidente di AIMS – Associazione Italiana Medicina del Sonno – è particolarmente importante perché i trattamenti, anche se al momento sono solo sintomatici, all’inizio della malattia risulterebbero estremamente più efficaci. La narcolessia nel 50% dei casi è una malattia pediatrica, insorge intorno ai 12 anni, ma può comparire a qualunque età. Spesso non viene riconosciuta nei bambini e negli adolescenti che mostrano difficoltà di attenzione o di apprendimento, la conseguenza è che ne vengono compromesse le performance scolastiche e le capacità relazionali. L’ADHD-Attention/Deficit Hyperactivity/Disorder, è una delle diagnosi errate che più comunemente viene fatta a questi soggetti a causa della sintomatologia simile di entrambe le condizioni morbose. Le red flags, cioè i sintomi sentinella, sono rappresentate non solo dal sonno, ma anche dal nervosismo, la cataplessia o problematiche metaboliche. Nei bambini la sonnolenza diurna, il sonno disturbato, le allucinazioni al momento dell’addormentamento o del risveglio. Seppur si stiano facendo importanti passi in avanti nell’accelerazione della diagnosi di narcolessia, gli anni di ritardo nella diagnosi restano troppi».

Ci vogliono anni per una diagnosi di narcolessia

Il ritardo nella diagnosi è uno degli aspetti che più caratterizza anche la narcolessia. Per questa rara malattia, infatti, la diagnosi può arrivare anche dopo anni di ricerche e tentativi, con molte conseguenze per i pazienti che ne soffrono. «Questo ritardo – spiega Massimo Zenti, presidente dell’Associazione Italina Narcolettici e Ipersonni (AIN) – si deve principalmente alla poca conoscenza della malattia e, in generale, alla poca attenzione che c’è verso il sonno ed i relativi disturbi. Le conseguenze per i pazienti sono enormi: diagnosi e terapie errate, anni di viaggi della speranza per trovare un esperto che ne sappia qualcosa, soldi spesi in esami e visite private, perdita di giorni di lavoro e di scuola, difficoltà ad avere relazioni sociali, complessi di inferiorità, depressione, ansia, obesità. Tuttavia, si può imparare a convivere con la malattia conoscendone le caratteristiche, la possibilità di vivere bene anche con la malattia c’è: programmando i riposini, prendendo i farmaci regolarmente, evitando abbuffate, uso di alcol. Si può condurre una vita molto vicina alla normalità, si può studiare, lavorare, guidare l’auto. Spesso basta rendersi conto e accettare la condizione che per fare molte cose alle persone con narcolessia servono tempi diversi».

Apnee ostruttive del sonno e sonnolenza diurna

Pause nella respirazione durante il sonno, dovute all’ostruzione parziale o totale delle prime vie aeree, sono la principale manifestazione delle apnee ostruttive del sonno (OSA). Una condizione che genera particolari manifestazioni cliniche tra cui sonnolenza diurna, stanchezza, deficit dell’attenzione e della memoria, e si associa ad un maggiore rischio di malattie cardiovascolari, neurologiche e metaboliche. A lungo termine aumenta, per chi ne soffre, il rischio di ictus, ipertensione arteriosa, coronopatie e aritmie, diabete. Il sintomo principale delle apnee ostruttive del sonno è certamente il russamento, quasi sempre molto intenso e, a causa dell’apnea, intermittente, la sonnolenza diurna, l’insonnia soprattutto legata ai risvegli precoci e alla difficoltà di riprendere sonno, affaticamento e difficoltà di concentrazione, nicturia (la tendenza ad alzarsi di notte per l’urgenza di urinare). Tra le cause invece, certamente obesità e sovrappeso, ma anche alcune di natura anatomica: per esempio, una mandibola piccola, palati molto abbondanti o una lingua grossa possono contribuire a ridurre lo spazio aereo faringeo e ostruire le vie aeree superiori facilitando le apnee. Anche l’assunzione di alcol la sera può favorire l’insorgenza di apnee ostruttive, mentre le tonsille o le adenoidi possono esserne la causa in età pediatrica. «L’OSA – spiega il prof. Giuseppe Insalaco, ricercatore presso il CNR/IRIB di Palermo – è una malattia che ha un grave impatto sulla qualità della vita di chi ne soffre e troppo spesso la diagnosi della patologia è ritardata. Ottenere una corretta diagnosi, seguita da un monitoraggio ottimale degli eventi respiratori notturni e da un’efficace terapia, è condizione necessaria per incidere significativamente sulla qualità di vita correlata alla salute, migliorando le funzioni neurocognitive e la capacità di far fronte alle attività quotidiane, lavorative e di coppia. Sicuramente ciò che si può consigliare a quasi tutti i soggetti è un corretto stile di vita e lo svolgimento di attività fisica che anche se non risolvono il problema aiutano a migliorarlo».

Le apnee del sonno compromettono la qualità della vita

L’OSA ha un importante impatto sulla qualità della vita di chi ne soffre e dei suoi familiari. Purtroppo i pazienti, probabilmente per la carenza di strutture territoriali e specialistiche, incontrano numerose difficoltà ad arrivare dopo lunghi mesi di attesa ad una diagnosi certa.  «Molto spesso – afferma Luca Roberti, presidente dell’Associazione Apnoici Italiani APS (AAI) – i pazienti arrivano ad una diagnosi e alla conseguente scelta terapeutica in tarda età, quando oramai la patologia è cronicizzata e sono emerse numerose comorbilità come l’ipertensione farmaco resistente, diabete di tipo 2 e problematiche cardiache. Tuttavia, se opportunamente formati, i medici di medicina generale e i pediatri che gestiscono la popolazione sul territorio nazionale, possono diventare importanti sentinelle epidemiologiche, individuando potenziali casi di pazienti a rischio da indirizzare ai centri specialistici territoriali multi-disciplinari. Ѐ necessaria una forte azione sinergica tra i decisori politici ed istituzionali, finalizzata ad aumentare la consapevolezza che questa patologia è una malattia sociale; è necessario inserire la patologia nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e nel Piano Nazionale delle Cronicità (PNC); è necessario attivare percorsi diagnostici e terapeutici sul territorio nazionale, eliminare le diseguaglianze tra le regioni, migliorare la qualità di vita di tutte le persone affette da questa patologia».

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